ENEA: un kit innovativo per rintracciare sostanze tossiche nel latte

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Kit diagnostico per la qualità del latte (credit: Enea.it)

Il dispositivo è stato realizzato in collaborazione con l’Università di Torino

31.03.23 – Messo a punto un kit diagnostico per aziende lattiero-casearie e laboratori di analisi, in grado di rilevare in modo rapido, efficace e a basso costo la presenza dell’aflatossina M1 nel latte crudo, una sostanza considerata cancerogena per l’uomo che proviene da animali nutriti con mangimi contaminati. Il dispositivo è stato realizzato dall’ENEA in collaborazione con l’Università di Torino. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Toxins.

A causa degli effetti dannosi sulla salute umana e animale, l’Unione Europea ha fissato una concentrazione massima di aflatossina M1 di 50 nanogrammi/litro nel latte crudo, nel latte trattato termicamente e in quello destinato alla produzione di formaggi. Ed ha ulteriormente abbassato questo valore soglia negli alimenti destinati ai neonati e ai bambini (25 ng/l), che risultano tra i maggiori consumatori di questo alimento.

La tecnica di analisi messa a punto dai ricercatori ENEA prevede, per la prima volta, l’impiego di anticorpi monoclonali prodotti da una pianta dello stesso genere del tabacco (Nicotiana benthamiana), per “intercettare” le tossine presenti nel latte anche a concentrazioni molto basse – ben al di sotto dei limiti fissati per legge – come hanno dimostrato le sperimentazioni condotte su campioni di latte crudo contenenti diverse concentrazioni di aflatossina M1 (25, 50 e 75 nanogrammi/L).

«Si tratta della versione green di ELISA, uno dei migliori e più diffusi metodi di screening rapido per il rilevamento delle tossine negli alimenti e nei mangimi animali, che permette l’analisi accurata, rapida e a basso costo di un numero elevato di campioni», spiega Marcello Catellani del Laboratorio ENEA di Bioprodotti e bioprocessi.

Per la produzione degli anticorpi, i ricercatori si sono avvalsi di un sistema di produzione alternativo ed economico offerto dal Plant Molecular Farming (PMF), un sistema che usa le piante per produrre molecole complesse come gli anticorpi.

«Si tratta di un approccio biotecnologico che può liberare la produzione di anticorpi dai classici e più costosi sistemi basati su colture di cellule animali, che richiedono strutture e ambienti dedicati, reagenti e strumenti specifici per la loro crescita in condizioni di sterilità, come ad esempio bioreattori e incubatori», aggiunge Catellani.

Il PMF permette di operare in condizioni non sterili (serra, acqua, luce, suolo) con costi ridotti al minimo. Per questo lavoro è stata utilizzata la tecnica dell’agroinfiltrazione che comporta l’utilizzo di un particolare batterio chiamato Agrobacterium tumefaciens che veicola l’informazione genetica di interesse nei tessuti vegetali della pianta Nicotiana benthamiana.

«Questo processo risulta vantaggioso per rapidità e resa: richiede solo 1-2 giorni per la crescita degli agrobatteri, che hanno il compito di veicolare l’informazione genetica nella pianta, e dopo circa una settimana è possibile raccogliere le foglie da cui estrarre fino a 1,6 g/kg di anticorpi. Quindi, lo scale-up di questa produzione è immediato, facilmente modulabile e poco costoso, se confrontato con colture cellulari in vitro, perché richiede semplicemente un ampliamento dello spazio di coltivazione dedicato alle piante», sottolinea Cristina Capodicasa del Laboratorio ENEA di Biotecnologie.

Le aflatossine sono micotossine prodotte da funghi appartenenti al genere degli aspergilli che si sviluppano di solito quando le derrate alimentari sono conservate a temperature tra i 25 e i 32°C e con tassi di umidità dell’ambiente di oltre l’80 per cento. Non si vedono a occhio nudo, non hanno sapore e, soprattutto, mostrano un’elevata stabilità durante i trattamenti termici come, ad esempio, la pastorizzazione del latte. (Red)

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www.enea.it

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