Il DNA riscrive la storia delle persone sepolte nell’antica eruzione vulcanica di Pompei

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Gruppo di calchi da Casa del Bracciale d'Oro. calchi n. 50-51-52, data di creazione 1974, per gentile concessione del Parco archeologico di Pompei (credit: unifi.it)

Cambia la storia scritta a partire dalla riscoperta di Pompei nel 1748. Uno studio dell’antico DNA estratto dai resti ossei, intrappolati nei famosi calchi realizzati colando il gesso all’interno dei vuoti lasciati da quei corpi, ci riporta nella tragica realtà del 79 d.c.. In una ricerca internazionale pubblicata in Current Biology, guidata dall’Università di Firenze, dall’Università di Harvard, dal Max Planck Institute di Lipsia, su istanza scientifica del Parco Archeologico di Pompei, le prove del DNA mostrano che i sessi e le relazioni familiari degli individui non corrispondono alle interpretazioni tradizionali che erano state formulate (“Ancient DNA Challenges Prevailing Interpretations of the Pompeii Plaster Casts” https://doi.org/10.1016/j.cub.2024.10.007).

Il gruppo di studiosi ha estratto il DNA dai resti scheletrici, assai frammentati e mescolati al gesso, traendolo da 14 degli 86 calchi che erano all’epoca in fase di restauro. Questo metodo ha permesso di determinare con precisione le relazioni genetiche, il sesso e l’ascendenza. E ciò che è stato scoperto è in gran parte in contrasto con le ipotesi basate esclusivamente sull’aspetto fisico e il posizionamento dei calchi.

«Questo studio – spiega David Caramelli, docente di Antropologia all’Università di Firenze – dimostra quanto l’analisi genetica possa arricchire notevolmente narrazioni elaborate sulla base di dati archeologici. Queste scoperte sfidano interpretazioni di lunga data, come l’associazione dei gioielli alla femminilità o l’interpretazione della vicinanza fisica come indicatore di relazioni biologiche. Ugualmente, i dati genetici complicano le semplici narrazioni di parentela: nella Casa del Bracciale d’Oro, che è l’unico sito per il quale abbiamo dati genetici di più individui, i quattro individui comunemente interpretati come genitori e i loro due figli, in realtà non sono geneticamente imparentati».

Riprende David Reich dell’Università di Harvard: «I dati scientifici che forniamo non sempre sono in linea con le ipotesi comuni. Un esempio degno di nota è la scoperta che un adulto che indossava un braccialetto d’oro e il bambino che teneva in braccio, tradizionalmente interpretati come madre e figlio, sono risultati essere un maschio adulto e un bambino non imparentati. Allo stesso modo, una coppia di individui che si pensava fossero sorelle, o madre e figlia, in realtà include almeno un maschio genetico. Queste scoperte sfidano le ipotesi tradizionali».

I dati genetici hanno offerto anche informazioni sull’ascendenza dei pompeiani, che avevano background genomici diversi. La scoperta che essi discendevano principalmente da immigrati dal Mediterraneo orientale evidenzia la natura cosmopolita dell’Impero romano.

Al riguardo, Alissa Mittnik del Max Planck di Lipsia, sottolinea: «I nostri risultati hanno implicazioni significative per l’interpretazione dei dati archeologici e la comprensione delle società antiche. Evidenziano l’importanza di integrare i dati genetici con le informazioni archeologiche e storiche per evitare interpretazioni errate basate su ipotesi moderne. Questo studio sottolinea anche la natura diversificata e cosmopolita della popolazione di Pompei, che riflette modelli più ampi di mobilità e scambio culturale nell’Impero romano».

E David Caramelli aggiunge: «Inoltre, è possibile che lo sfruttamento dei calchi come veicoli per la narrazione abbia portato alla manipolazione delle loro pose e del loro posizionamento da parte dei restauratori in passato. I dati genetici, insieme ad altri approcci bioarcheologici, offrono l’opportunità di approfondire la nostra comprensione delle vite e dei comportamenti delle persone che furono vittime dell’eruzione del Vesuvio».

Il direttore del Parco di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, così conclude: «Le analisi del DNA antico sono ormai da anni parte dei protocolli di studio del Parco di Pompei, e non solo per quello che riguarda le vittime umane: altre linee di ricerca riguardano, ad esempio, le vittime animali. Allo stesso modo, il Parco, attraverso il laboratorio di ricerche interno, coordina una serie di progetti di ricerca relativi alle analisi isotopiche, alla diagnostica, alla geologia e alla vulcanologia, e non ultima la reverse engineering… Tutto questo contribuisce a una visione più completa e moderna dell’interpretazione dei ritrovamenti archeologici, e non solo. Pompei si trasforma in un vero e proprio laboratorio per la creazione di nuove metodologie, nuove risorse e confronti scientifici. In quest’ottica, questo studio si configura come un tassello di un vero e proprio ribaltamento di prospettiva, in cui il sito stesso si pone al servizio dell’archeologia e della ricerca» (Red.)

Vedi
www.unifi.it
https://doi.org/10.1016/j.cub.2024.10.007
https://heos.it/category/scienze/

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